31.7.09

Reputation management: due italiani su tre preoccupati per ciò che compare su di loro online

Ebbene si: io sono tra coloro che, prima di incontrare per lavoro una persona che non conosco, o prima di fare un colloquio a un aspirante lavoratore in Sems, cerco online (Google, Facebook, Twitter...) informazioni su di essi. E, visto che altri lo fanno ovviamente con me, da un paio di anni ho fatto scomparire il sito della mia carriera da ciclista, visto che più che di affari si finiva a parlare di doping:-).
In queste ricerche mi è capitato di trovare di tutto e di più, scoprendo che anche la controparte -nei pochi casi in cui ho fatto cenno a quanto trovato in Rete- fosse non poco preoccupata e imbarazzata per quelle informazioni rintracciabili online.
Per questo, avendo la fortuna di avere un istituto di ricerche in casa e visto che, nell'offerta di Sems, da anni c'è anche il net reputation management, ho voluto incrociare i dati per capire quanto gli italiani che hanno accesso al web siano consapevoli di ciò che su di loro compare in Rete, e pubblicarne i risultati.
Qualche risultato è sorprendente anche se, va detto, sotto una certa soglia d'età manca proprio la presa di coscienza su cosa voglia dire "sputtanarsi a vita" in un filmato finito su Youtube o in una foto condivisa via Flickr;-)
E lo conferma anche una frase di Robert Iger, CEO di Walt Disney, che ho riportato qualche giorno fa sul mio Twitter:
"Quando ho parlato ai miei figli della privacy da mantenere online, non capivano nemmeno a cosa mi riferissi".

Di seguito (estratti dal comunicato stampa) i punti salienti della ricerca, realizzata da OTO su un campione di 2.000 italiani:

“Ne emerge che due italiani su tre online sono preoccupati da ciò che si può trovare attraverso i motori di ricerca su loro stessi; il 6% è molto preoccupato ed il 4% vorrebbe addirittura poter obbligare i motori di ricerca a cancellare tutte le informazioni indicizzate su di loro. Solo il 29% degli intervistati non si è detto preoccupato di questo fenomeno” spiega Marco Loguercio, fondatore e amministratore delegato di SEMS.
"La preoccupazione per ciò che può essere pubblicato online è quindi reale e tangibile. Non è un caso -prosegue Loguercio- che ai primi di luglio, quando ha presentato la Relazione 2008 del suo istituto, Francesco Pizzetti, presidente Garante Privacy, abbia dichiarato che 'Assicurare a ciascuno il controllo totale sulla propria vita e, dunque, anche sui propri dati personali appare sempre più come l'ultimo sogno dell'uomo contemporaneo'. Il Web, da questo punto di vista, è eccezionale ma terribile al tempo stesso: un'informazione può fare il giro del mondo in modo estremamente veloce e rimanere disponibile online per sempre."

Ma come si concretizza quest’attenzione? Quasi 7 italiani su 10 online hanno cercato almeno una volta il proprio nome e cognome su Google per verificare quali siano le informazioni correlate, mentre un italiano su dieci effettua un monitoraggio costante di cosa i motori pubblichino per il proprio nome e cognome, così da verificare se vi siano nuovi contenuti.
Chi sono i più preoccupati da questo fenomeno? Dalla ricerca emerge che a desiderare la possibilità di poter cancellare le informazioni che li riguardano sui motori di ricerca sono soprattutto i maschi, dirigenti e liberi professionisti su tutti. Ovvero la categoria di lavoratori che rischia maggiormente un danno d'immagine in caso di pubblicazione di contenuti compromettenti.
Ma quali sono le tipologie di informazioni personali che darebbe più fastidio agli italiani se fossero accessibili in Rete?
Il 60% teme che in Rete possano essere pubblicate informazioni sulla propria famiglia; il 57% fotografie e video che lo ritraggono e messe online da altri; il 54% “tutto ciò che mi riguarda”; il 48% “il mio reddito” (e qui a molti potrebbe tornare in mente la corsa, nel 2008, a scaricare le dichiarazioni dei redditi 2005 degli italiani pubblicata per qualche giorno sul sito dell'Agenzia delle Entrate).
Foto e video destano insomma più preoccupazione di salute e opinioni personali, se è vero che il veder comparire informazioni sul proprio stato di salute preoccupa solo il 43% degli intervistati, così come le proprie opinioni su temi sensibili (solo il 24%).

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