28.1.09

Scrivere un CV per il mondo del SEM? Searchengineland.com offre qualche consiglio.

Da quando ho lanciato SEMS a oggi, valuto circa un migliaio di CV all'anno (ne arrivano infatti mediamente 3 al gorno, con picchi esagerati quando i vari siti di recruitment riprendono i nostri annunci) per le posizioni aperte nell'azienda che guido.
Scartando (dopo averli letti, nessuno escluso) il 90% dei curricula perchè assolutamente non in linea con i requisiti richiesti (mi verrebbe anzi da scrivere "mandati a casaccio, senza neanche leggere di cosa tratti la job description"... e infatti lo scrivo:-) ne rimane comunque un centinaio, che deve essere ulteriormente oggetto di selezione (questa volta non sono solo mio, ma mi avvalgo di un team di specialisti dell'area per la quale il candidato si propone) per arrivare alla lista di chi invitare a un colloquio (mediamente 1 su 3 di questo 10%).
Come "emergere dalla massa" e fare quindi in modo che nel proprio CV abbiano risalto quelle competenze che potrebbero garantire il colloquio invece di rimanere parcheggiato nel DB di Sems per eventuali future opportunità?
Search Engine Land ha pubblicato in questi giorni un interessante articolo su come e cosa far risaltare, della propria esperienza (pratica e teorica) nel curriculum vitae, che consiglio di leggere agli interessati.
Sono infatti io il primo a essere convinto della parziale efficienza del sistema di recruitment in SEMS e di non aver dato un'opportunità a molti aspiranti SEO in gamba, ma è molto difficile fare delle prime valutazioni quando si ha di fronte un CV un po' troppo standardizzato.

Per quanto riguarda il recruitment in SEMS (così offro un vantaggio competitivo a chi vorrebbe lavorare con me e legge questo blog rispetto a chi non lo fa;-), la cosa a cui presto molta attenzione è il testo dell'email che accompagna il CV.
Vi vorrei trovare elencati i casi concreti di attività svolte (e i risultati ottenuti; nota: la dimensione del progetto seguito è indifferente, quello che mi interessa è l'approccio), oltre a una motivazione del "perchè SEMS".

Per altri spunti, è sempre di stretta attualità quanto ha scritto in passato Miriam.

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22.1.09

Considerazioni in attesa della trimestrale di Google

La quiete della mattina è il momento che preferisco per la mia rassegna stampa, che a casa si compone essenzialmente della lettura dei principali feed di news e articoli del settore e di quanto mi suggeriscono gli Alert di Google (che poi integro, quando arrivo in ufficio, con quella più tradizionale curata dalla preziosa Anna).
Questa mattina la mia attenzione si è focalizzata su un post di ieri del blog di Search Engine Watch, "As goes Google so goes the economy?", che prende spunto da un articolo di Forbes "Google As Economic Barometer" di anticipazioni su quelli che saranno i dati della trimestrale del colosso di Mountain View e di valutazione sulle sue recenti mosse.
In particolare, quoto quanto mi sento di commentare per recenti esperienze personali:

Google does reflect our economy. And if they want to strengthen their position they have to do what will help the economy recover. Start helping the little guys. They are the ones that will stimulate the economy and can also stimulate Google's income.

If there was more transparency in AdWord's Quality Score, less expansion in broad match and an understanding of how to better serve the little guys - those 10s of thousands of minor advertisers - maybe the revenue numbers will increase.

I remember sitting in a search conference session and hearing many people say minimum bids have pushed them out of using PPC. They were not arbitragers, they were not agencies, they were small business owners who could no longer find a profitable CPA.


E' vero, c'è bisogno di maggiore trasparenza del sistema di funzionamento di AdWords. Una richiesta che gli addetti ai lavori portano avanti da tempo.
Mi sembrano passati anni luce da quando Google comunicava baldanzoso che il suo costo click base era 1 cent, contro i 10 (diventati poi 5 su alcune kw, in risposta alle pressioni del mercato) dell'epoca di Overture/Yahoo SM e i similari di Espotting/Miva. E' da tanto infatti che non vedo più parole chiave il cui costo click sia stato di 1 cent, anche -paradossalmente- per quelle in cui si è l'unico inserzionista presente.
OK, business is business e in Google ogni trimestre hanno degli obiettivi da raggiungere. Certo, però, che se questi obiettivi devono andare a discapito del budget dell'inserzionista, qualche dubbio quest'ultimo inizia a porselo; e quando sorgono i dubbi, generalmente il portafogli si chiude.
Perchè, ad esempio

- un produttore di tappi per bottiglie si vede chiedere un CPC che arriva addirittura a 8 euro (vedi immagine; ne avevo già parlato anche qui) per poter essere presente per una parola chiave che non è certo mesothelioma?


Chi è smart o ha anche solo un pizzico di praticità nella gestione di campagne sa come bypassare questa imposizione, ma chi si avvicina per la prima volta allo strumento in modalità self service?
Di piccoli imprenditori italiani o di operatori del settore turismo che hanno smesso di fare Adwords proprio per costi click troppo elevati che impediscono di avere un ritorno ne conosco anche io diversi. E il loro passaparola negativo è molto veloce.

- perchè, in un test Adwords che ho fatto la scorsa settimana per un prospect sul quale eravamo in gara in modo da capire il reale scenario (quando il supporto che ti arriva dal network in questione è un foglio excel con unicamente un budget richiesto, un cpc stimato e una previsione di traffico che è semplicemente il primo numero diviso il secondo, e nulla più, capisci che è il caso di fare da te per portare del valore aggiunto) e senza mettere limitazioni di cpc (proprio per capire fin dove si rischia di arrivare), ho dovuto pagare oltre 1,5 € a click per un misspelling del brand, in presenza di un altro solo inserzionista, per la precisione un competitor?

Gli esempi potrebbero continuare, ma il tempo è tiranno. E comunque quanto sopra non sembra essere un problema per una società che non ha una concorrenza forte e può comunque contare ben oltre 1 milione di inserzionisti (dato 2007).
Certo, devo andare a leggermi bene il dettaglio di questo numero, per capire se stia stimato così come viene stimato ad esempio il numero di blog attivi nel mondo (ovvero includendo anche quegli account morti e sepolti da tempo).

13.1.09

Una volta era l'iscrizione su 100.000 motori...

...oggi invece vedo piani di attività che invitano le aziende, in nome del Web 2.0 e del Social Media, a produrre tonnellate di contenuti multimediali (foto, audio, video, post, commenti, twitter...) e a segnalarli, iscrivendosi, in migliaia di network sociali.
Il tutto indipendentemente dal business dell'azienda, dagli obiettivi che questa ha, dall'utilità che questi contenuti multimediali possano avere...
"Perchè così dominerai i risultati di ricerca!".
Si, ammesso che qualcuno ti cerchi...

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6.1.09

Si può parlare di crisi quando si cresce a doppia cifra?

eMarketer ha pubblicato in questi giorni un'analisi, Search Ad Spending: reactions to a recession, relativa alle prospettive di crescita del search marketing negli USA alla luce del momento decisamente poco felice dell'economia mondiale.
Come si può vedere dal grafico sottostante, anche gli investimenti in link sponsorizzati -stando alle previsioni degli analisti di eMarketer- non avranno più il devastante tasso di crescita anno su anno che, di fatto, hanno fatto segnare in questo inizio di secolo.















Come sempre capita in situazioni come queste (basta guardare l'altalena del titolo Google al Nasdaq in questi anni, pur trattandosi di un'azienda dal business sano), bastano delle analisi in cui i tassi di crescita rallentano un attimo ed ecco già le prime Cassandre iniziare a parlare di "inizio della fine del search marketing".
Per quanto la crisi abbia toccato indubbiamente anche i budget legati al search advertising, portando molte aziende big spender a razionalizzare gli investimenti alla ricerca della performance e della massima efficienza (ma questo io lo interpreto anche come un segno di maturità, non solo come una necessità), si può parlare di "crisi del SEM" quando il settore continuerà a crescere a doppia cifra?
Mentre ero a Chicago, lo scorso dicembre, mi è capitato di tastare con mano una serie di cambiamenti in atto: molta meno gente effettivamente per le strade a fare shopping, ma molto più shopping online, come mi hanno confermato molti addetti ai lavori di oltreoceano. E lo stesso Eric Schmidt, CEO di Google, ospite in un talk show mattutino sulla "R situation" (negli USA nominano la parola recessione il meno possibile), ha confermato come in tempo di crisi le ricerche su Google siano aumentate, alla ricerca di opportunità di risparmio. Così come, complessivamente, il Web è diventato ancora più decisivo nei processi d'acquisto che avvengono anche offline, come dimostra il recente report di Nielsen "Eight in Ten Online Holiday Shoppers Read Customer Reviews" in cui viene riportato, tra le altre cose, come

More than half of respondents (55%) indicated that they visited the website of a local brick- and-mortar retailer before visiting the physical store. The primary reason for going online first was comparing prices between retailers, followed by checking if an item was in stock and looking for sales in stores.


In conclusione, anche un settore solido come il search marketing risentirà dell'impatto di questa crisi, ma continuerà ad essere un pilastro dell'advertising online delle aziende più "savvy", visto che le informazioni trovate nei motori non aiutano gli utenti ad acquistare solo online, ma sono decisive anche per gli acquisti offline, di qualsiasi tipo questi siano: dal CD da pochi Euro ai macchinari B2B da svariati milioni di Euro. In un mondo che diventa sempre più "search centrico" non potrebbe essere altrimenti.

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